2. Primi approcci
 
 

 

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Una prova "in bianco" in attesa della notte astronomica: la vedete la "Bianchina" in
fondo al viale?

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Dall'altezza del telescopio ecco come
appare la Bianchina fotografata con D70 e 18/70mm a focale 70mm.

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Ed ecco il risultato con telescopio e oculare
da 10mm: in alto lo scatto eseguito attraverso il telescopio e in basso il ricampionamento del particolare estrapolato dall'immagine eseguita con la D70 a focale 70mm senza telescopio; contrassegnato
dalla freccia il particolare della foto iniziale scattata a 70mm.

I primi approcci:
pianeti e profondo cielo

L'osservazione e la fotografia del cielo si divide innanzitutto in due grandi famiglie, pianeti e profondo cielo. L'osservazione e la fotografia dei pianeti di norma si ottiene collegando direttamente la fotocamera al telescopio, si parla infatti di focali fotografiche intorno ai 30.000mm e più, quindi al di fuori della portata dei classici teleobiettivi fotografici.
Per il profondo cielo, invece, si parla dell'osservazione e della fotografia di nebulose, galassie e comete dove si riesce già ad ottenere "qualcosa" usando anche i normali teleobiettivi fotografici che collegati alla fotocamera vengono accoppiati a un telescopio che serve da guida durante le lunghe esposizioni richieste per fissare questi oggetti di debolissima luminosità sulla pellicola o sul sensore (qui la debolissima luminosità va letta come debolissimo "segnale").

Sia nel primo che nel secondo caso, quando si parla di fotografia, bisogna fare i conti con la rotazione terrestre, quasi impercettibile ad occhio nudo, ma che attraverso un tele spinto o un telescopio viene moltiplicata, al punto tale che puntando un telescopio con un ingrandimento di appena 100 o 200x verso la Luna, questa sparisce dal campo inquadrato nei pochi secondi che occorrono per focheggiarla. Per "inseguire" i corpi celesti si usano appositi treppiedi che al posto della tradizionale testa fotografica hanno una "montatura equatoriale" di norma motorizzata, in grado di girare alla stessa velocità della rotazione terrestre e di inseguire perfettamente il corpo celeste.

Per un certo tipo di fotografia astronomica bisogna quindi possedere un telescopio e una montatura equatoriale motorizzata, ma per un primo approccio, soprattutto alla fotografia di pianeti – della Luna innanzitutto – è già possibile ottenere qualche discreto risultato fotografando con una normale attrezzatura e un normale treppiede, alzando la sensibilità del sensore, e scattando con tempi sempre più veloci a seconda della focale utilizzata.

Ugualmente per le fotografie del profondo cielo a "largo campo" quando si impiegano ottiche normali o addirittura grandangolari e dove il risultato che si vuole ottenere è per esempio una fotografia di insieme di un'intera costellazione, è possibile arrivare anche a pose di alcuni secondi sempre utilizzando un normale treppiede fotografico, con tempi sempre più lunghi in modo inversamente proporzionale alla focale utilizzata.
Già stasera stessa, quindi, se provate a puntare la vostra macchina fotografica verso il cielo e ad effettuare qualche posa di alcuni secondi, riuscirete già ad ottenere delle discrete immagini di qualche intera costellazione.

Citati ci riferisce brevemente della "storia recente" dell'acquisizione di immagini in fotografia astronomica.
Dieci anni fa a farla da padrone erano le reflex analogiche, quando fecero la loro comparsa le "camere CCD" che all'epoca risolvevano ben 150x200 pixel!!!: erano i primi anni '90. Queste prime camere CCD incontrarono comunque i favori degli appassionati perché risolvevano il problema dell'effetto di non reciprocità che in fotografia astronomica, usando la pellicola, obbligava a pose di mezz'ore, ore, addirittura.
Le prime camere CCD costavano intorno ai 1.500 dollari ed erano in bianco e nero (se pensiamo che oggi per quella cifra si acquista una Nikon D70…!): all'epoca si facevano tre scatti distinti dell'oggetto, usando per ogni scatto un filtro diverso fino a creare i tre colori dell'RGB.

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Sempre per "scaldarci le mani" uno scatto di un santuario situato ad alcuni chilometri di distanza; dall'alto: D70 e 18/70 a 18mm,
a 70mm e con telescopio, il particolare riquadrato in giallo è una estrapolazione via software che ci permette di verificare che
sono state risolti perfino gli stucchi sulla facciata che sormonta le colonne. La freccia gialla, identica in tutte e tre le immagini,
ci dà un'idea dell'ingrandimento raggiunto.

Il primo problema che incontrarono gli appassionati con questi primi sensori fu il problema del disturbo "noise" causato dalle lunghe pose e dal calore (ben peggiore del disturbo che in analogico introduce la grana della pellicola). I sensori CCD dedicati alla ripresa astronomica professionale e/o scientifica inpiegano un sistema di raffreddamento a celle di Peltier portando il sensore a temperature fino a –40°C rispetto alla temperatura ambiente.
Poi sono arrivate le prime webcam (ancora oggi la Philips padroneggia con una webcam da soli € 70 apprezzatissima dagli astrofili); le webcam venivano e vengono tutt'ora smontate, private dell'ottica e utilizzate come sensori soprattutto in fotografia planetaria dove si scattano centinaia di frame dello stesso oggetto sommandoli successivamente con appositi programmi: sommando tanti frame sale il rapporto segnale/rumore e migliora la qualità finale dello scatto.
Oggi la situazione vede ancora una convivenza tra analogico e digitale: c'è chi usa ancora fotocamere reflex con pellicola 6x6 o 6x7 per ottenere risultati difficili da raggiungere ma sbalorditivi se presi in modo perfetto. Le webcam hanno ancora il loro mercato, così come hanno suscitato un certo interesse negli ultimi anni anche le compatte digitali, che difettano però del problema che la loro ottica non può esser rimossa come con le webcam. Sul fronte delle reflex digitali la prima che venne introdotta fu la Kodak ma molto sottovoce perché qualche anno fa al prezzo di una reflex digitale si poteva acquistare una camera CCD dedicata che dava migliori risultati. Seguirono poi le più "economiche" Nikon della serie D1 ma meglio ancora, circa rapporto prezzo prestazioni, le D100 ancora sul mercato.
Il grande boom dell'introduzione delle reflex digitali in astrofotografia è però proprio degli ultimi mesi, con l'introduzione di fotocamere come la D70 dove funzioni estremamente professionali come la velocità dell'autofocus piuttosto che il numero di fotogrammi al secondo non interessano affatto mentre interessa eccome il fatto che uno dei marchi più usati in astrofotografia analogica è sempre stato Nikon, il che significa che spesso si dispone già dell'attacco Nikon per montare la macchina, in questo caso la nuova D70, direttamente al telescopio.

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Il telescopio rifrattore – cioè a lenti – utilizzato per la prova è uno SkyViewPro 120mm EQ: corrisponde a una focale 1000mm nel formato fotografico, con
apertura f/8.3 e diametro della lente frontale di 120mm; a seconda dell'oculare utilizzato gli ingrandimenti possono essere aumentati. La macchina può essere collegata al telescopio sia con che senza oculari.

Citati ha già iniziato a scattare in D70 e ci riferisce di risultati molto positivi – non stiamo ovviamente parlando di applicazioni ultrascientifiche da NASA - . Quello che più lo ha positivamente stupito e il rumore di fondo che è molto costante e di conseguenza facilmente correggibile, usando il NR della fotocamera, o creando degli appositi dark frame da applicare poi alle immagini a seconda del tempo di esposizione utilizzato; Citati infatti si sta preparando una sua personale raccolta di dark frame tutti scattati in RAW e a tutti i tempi di posa utilizzati normalmente in astrofotografia; poi, a seconda della posa usata per una certa immagine, le sottrarrà il dark frame speculare in termini di lunghezza di posa, eliminando così in modo più efficace il rumore di fondo.
Va naturalmente detto che il rumore di fondo e la sua eliminazione interessano soprattutto le foto scattate al "deep sky" dove la lunghezza della posa da una lato e il rischio di confondere oggetti reali col rumore di fondo necessita di una perfetta eliminazione del "noise"; in fotografia planetaria la cosa è meno evidente perché si tende comunque a scattare con tempi più brevi e spesso a scattare sequenze di frame da sommare successivamente. E' proprio l'astrofotografia infatti il banco di prova per il noise reduction, perché è qui che il "segnale" dei soggetti è sempre più basso del rumore che aggiunge il CCD all'immagine, mentre usando la pellicola, ad esclusione dell'effetto di non reciprocità, la grana si mantiene esattamente identica indipendentemente dal tempo di posa applicato.

Citati ha utilizzato la D70 direttamente collegata a un telescopio e collegando la fotocamera a un portatile in modo da gestirla direttamente da un disco fisso attraverso Nikon Capture: oltre a poter aprire e chiudere l'otturatore con un click del mouse, l'immagine viene poi immediatamente visualizzata sul monitor del portatile per poterne valutare immediatamente la corretta messa a fuoco con un ingrandimento che non è neppure paragonabile a quello restituito dal monitor della fotocamera. Per chi invece si volesse addentrare nella posa B senza Nikon Capture, la possibilità di comandare la posa della D70 attraverso il telecomando a IR, rende superflui cavi di scatto vaganti da un lato e annulla qualsiasi movimento che potrebbe causare la pressione sul pulsante di scatto sia in apertura che in chiusura – anche se sulle pose molto lunghe questi micromovimenti di inizio e termine dell'immagine non vengono registrati nell'immagine che si va a formare sul CCD-.

 
 

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